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La famiglia, l'infanzia in via Palude, la scuola, gli anni di formazione durante il fascismo, il seminario, la cotta per d'Annunzio, le prime poesie.
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Aldo Capitini
Aldo Capitini (Perugia, 23 dicembre 1899 – Perugia, 19 ottobre 1968) è stato un filosofo, politico, antifascista, poeta ed educatore italiano. Fu uno tra i primi in Italia a cogliere e a teorizzare il pensiero nonviolento gandhiano, al punto da essere appellato come il Gandhi italiano. Nato in una famiglia modesta, Capitini si dedica dapprima agli studi tecnici per necessità economiche e, in seguito, a quelli letterari come autodidatta. La madre lavora come sarta e il padre è impiegato comunale, custode del campanile municipale di Perugia. Ritenuto inabile al servizio militare per ragioni di salute, non partecipa alla prima guerra mondiale. Dopo gli studi della scuola tecnica e dell'istituto per ragionieri, dai diciannove ai ventuno anni si dedica alla lettura dei classici latini e greci, studiando da autodidatta anche dodici ore al giorno, dando così inizio al suo lavoro ininterrotto di approfondimento interiore e filosofico.
In questi anni legge autori e libri molto diversi tra loro, su cui forma la propria cultura letteraria e filosofica: D'Annunzio, Marinetti, Boine, Slataper, Jahier, Ibsen, Leopardi, Manzoni, la Bibbia, Gobetti, Michelstaedter, Kant, Kierkegaard (profondamente influenzato dal Vangelo), Francesco d'Assisi, Mazzini, Tolstoj e Gandhi. In questo periodo aderisce quindi al pensiero nonviolento del politico indiano.
Nel 1924 vince una borsa di studio presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, nel curriculum universitario di Lettere e Filosofia. Negli anni trenta Aldo Capitini scopre la dimensione politica di Gandhi e intravede nella non-collaborazione la forza capace di sconfiggere l’oppressione del regime fascista e la via della resistenza nonviolenta all’ormai vicino secondo conflitto mondiale.
Capitini studia il pensiero e l’azione del Mahatma (nonmenzogna, noncollaborazione, nonviolenza) e introduce nel dibattito etico-politico il discorso sui mezzi e fini, concentrandosi soprattutto sul “metodo” per portare avanti la lotta: “fra mezzi e fini vi è la stessa relazione che esiste fra seme e albero”. E’ nel 1929 che Capitini rompe con la Chiesa cattolica proprio per l’alleanza lateranense tra croce e moschetto e per la mancata opposizione cattolica al fascismo.
Tra il 1931 ed il 1943 diventa quindi un punto di riferimento importante per molti giovani. Imposta un’opera religiosa nel significato proprio della parola, cioè nel senso che in tempi di grande disorientamento egli seppe collegare e unire persone, giovani, intellettuali, operai, gente del popolo, dando loro una speranza. Rovesciando l’antico detto latino “si vis pacem, para bellum” Capitini imposta il suo lavoro culturale sull’ipotesi “se vuoi la pace, prepara la pace”.
Nel 1932 avviene la seconda rottura, quella anche formale con il regime. Allora era il segretario della Scuola Normale di Pisa. Rifiuta la tessera del Partito Nazionale Fascista, necessaria per mantenere il posto di lavoro. Capitini fa la sua seconda obiezione di coscienza, dice No al fascismo, si pone in antitesi e rimane isolato sul piano politico.
In una lettera ai familiari scritta il 2 gennaio 1933 mostra la consapevolezza del gesto compiuto; alla madre dice: “Faccio quello che è giusto e non temo nulla”. E al fratello: “Essendo io dunque contrario alla violenza, non posso dirmi fascista e compiere l’ipocrisia di iscrivermi o la viltà di cedere”. Nella lettera ufficiale di dimissioni dal suo impiego, il 4 gennaio 1933, scrive: “Ho preso in esame per molto tempo dal punto di vista religioso il problema della violenza e l’insegnamento ad aver fiducia in essa, e mi è sembrato che quell’insegnamento sia un errore e riveli mancanza di profonda fede nello spirito”.
Capitini vuole anche interiorizzare la sua profonda scelta antifascista, non solo politica, ma anche etica, intima, e compie una terza personale obiezione di coscienza: rompe con le abitudini sociali, esce dal conformismo, diventa vegetariano, dice No alla violenza verso gli animali.
A questo punto è pronto per elaborare ed esplicitare la sua posizione di antifascismo nonviolento, facendone un centro di opposione attiva.
Elenca così i suoi rifiuti (ancor oggi attualissimi), i suoi 12 No:
al nazionalismo;
all’imperialismo;
al centralismo assolutistico e burocratico;
al totalitarismo;
al prepotere poliziesco;
all’esaltazione della violenza;
al finto rivoluzionarismo attivista;
all’alleanza con il conservatorismo della chiesa;
al corporativismo;
al rilievo forzato e malsano di un solo tipo di cultura e di educazione;
all’ostentazione delle poche cose fatte, dilapilando immensi capitali, invece di affrontare il rinnovamento del Mezzogiorno;
all’onnipotenza di un uomo, di cui era facile vedere quotidianamente la grossolanità, la mutevolezza, l’egotismo, l’iniziativa brigantesca, la leggerezza nell’affrontare cose serie, gli errori e la irragionevolezza impersuadibile, mentre ero convinto che il governo di un paese deve il piú possibile lasciare operare le altre forze e trarne consigli e collaborazione, ed essere anonimo, grigio anche, perché lo splendore stia nei valori puri della libertà, della giustizia, dell’onestà, della produzione culturale e religiosa, non nelle persone, che in uniforme o no, nel governo o a capo dello Stato, sono semplicemente al servizio di quei valori.
La non-collaborazione con i mali del fascismo si doveva quindi trasformare in programma costruttivo e in un cambiamento (politico e intimo) che doveva avvenire subito, senza rinvio a tempi migliori.
Nel dopoguerra non aderisce ad alcun partito, e così Capitini, che fu tra i primissimi ed i pochissimi a rifiutare da subito il fascismo e che tanto fece e patì durante il regime di Mussolini, venne lascito fuori dalla Costituente. Da solo inizia un lungo lavoro per l’affermazione del metodo della nonviolenza. Fino alla morte è attivissimo: fonda i Centri di Orientamento Sociale, il Movimento di Religione, il Centro di coordinamento internazionale per la Nonviolenza, la Società Vegetariana Italiana, l’Associazione per la difesa e lo sviluppo della Scuola pubblica, la Consulta Italiana per la Pace, il Movimento Nonviolento.
Scrive e pubblica moltissimo: La realtà di tutti; Nuova socialità e riforma religiosa; L’atto di educare; Il fanciullo nella liberazione dell’uomo; Religione aperta; Colloquio corale; Rivoluzione aperta, L’obiezione di coscienza in Italia; Battezzati non credenti; L’educazione civica nella scuola e nella vita sociale; La compresenza dei morti e dei viventi; Educazione aperta; Le tecniche della nonviolenza; Antifascismo tra i giovani. Fonda e dirige anche due riviste: Il potere di tutti e Azione nonviolenta. Nell’elaborazione del suo pensiero e del suo agire politico mantiene sempre la centralità dell’opzione antifascista nonviolenta.