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La catastròfa
Marcinelle 8 agosto 1956
- Categoria: Narrativa moderna e contemporanea
- Autore: Paolo Di Stefano
- Editore: Sellerio editore - Palermo
- Pagine: 344
- ISBN: 8838925518
- Anno: 2011
Visite: 1753
Stato prestito: Disponibile
Recensione
«Sono facce italiane, ma tutto il resto è inequivocabilmente Belgio. Le case di mattoni rossi o grigi, i tetti a punta, le scalette per arrivare al portone, le finestre a bovindo, i bistrot, le insegne, la pioggia. Piove su Marcinelle, distretto minerario di Charleroi, anche in agosto. Quel giorno non pioveva. La ricordano come una limpidissima giornata di sole. Ma verso le otto del mattino nuvole di fumo denso salirono dai pozzi del Bois du Cazier e le donne lasciarono le baracche, presero per mano i bambini per precipitarsi al cancello della miniera con l’angoscia negli occhi, nel cuore, nelle gambe... Non potevano sapere che le condizioni di insicurezza e abbandono là sotto avrebbero trasformato un semplice equivoco in una delle stragi più gravi della storia mineraria. Non sapevano che dei 274 lavoratori scesi per iniziare il turno del mattino, 262 (di cui 136 italiani) non sarebbero usciti vivi. Non sapevano che le operazioni di soccorso erano già nettamente in ritardo. Non sapevano che, dopo quasi cinque anni, un giudice a Bruxelles avrebbe decretato solo una pena minima per il direttore dei lavori, nient’altro. Tutto questo l’avrebbero vissuto e saputo poco a poco. Tanti racconti che partono dalla povertà dei paesi d’origine e arrivano a quel mercoledì 8 agosto 1956 col suo strascico di dolore e rabbia. Voci che parlano lingue simili e diverse, colorate di tinte dialettali e francesi, parole familiari e gergo di miniera. Ho ascoltato quelle voci. Sono andato a Marcinelle, a Pescara, a Manoppello, ho incontrato i testimoni, ho indossato una divisa e un caschetto da minatore per calarmi nei pozzi profondi anche oltre mille metri del Bois du Cazier per farmi soccorritore cinquant’anni dopo e portare in superficie quel che resta di tanto dolore individuale e collettivo. Non corpi morti cui assegnare un loculo nel cimitero della storia, ma voci che raccontano vite comunque vissute, anche a futura memoria. Perché la loro memoria abbia un futuro.»