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Negli anni Cinquanta, i cieli delle città americane (e anche gli schermi dei relativi cinema) pullulavano di oggetti volanti non identificati. L’oggetto che il primo giorno di scuola attraversa il cielo della classe, sotto gli occhi attoniti del professor Frank McCourt, è invece identificabilissimo – in un panino che l’immancabile mamma italiana ha farcito, a beneficio del suo pupo, con peperoni, cipolla, formaggio fuso e mortadella. Se la prima inquadratura del libro risulta quantomeno inattesa, l’epilogo della sequenza, col professore che raccoglie il panino e lo mangia lentamente davanti alla scolaresca annichilita, è destinato a restare. E a farci vivere il clima delle trentatremila ore di lezione (cifre dell’autore) che McCourt terrà nei tre decenni successivi, in varie scuole – tecniche e non – sparse fra Brooklyn, Manhattan e Staten Island. Per ragioni di spazio non tutti i dodicimila rissosi e pestiferi studenti di McCourt compaiono qui – ma la loro fragorosa presenza, filtrata dalla psiche sovraesposta del docente, ci assale e ci delizia. E se i lettori delle Ceneri di Angela e di Che paese, l’America sanno già cosa aspettarsi da McCourt in termini di sarcasmo, empatia e comicità allo stato puro, quelli di Ehi, prof! scopriranno come i tre elementi possano fondersi a caldo in un genere completamente nuovo, che difficilmente troverà, in futuro, epigoni all’altezza.